Api In “The Bee Meeting // Sylvia Plath in “La scoperta del doppio e il viaggio di Pierrot” – prof. Ciro Sorrentino

API IN “THE BEE MEETING” // SYLVIA PLATH IN “LA SCOPERTA DEL DOPPIO E IL VIAGGIO DI PIERROT” – PROF. CIRO SORRENTINO

Il convegno delle api

Chi sono questi che mi aspettano al ponte? È gente del paese […] tutti guantati e coperti […]
[…] la segretaria delle api […] mi abbottona i polsini […] Non sentiranno l’odore della mia paura […]
[…] Ora mi danno […] un velo nero che mi si modella sulla faccia, fanno di me una di loro.
[…]portano via le vergini, non ci saranno uccisioni. La vecchia regina non si mostra […]
[…] Sono esausta, esausta – colonna di bianco in un buio di coltelli. […] perché ho freddo?

3 ottobre 1962, Sylvia Plath

(traduzione di Anna Ravano)

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L’arrivo della cassetta delle api – Sylvia Plath

L’ho ordinata io, questa linda cassetta di legno […] dentro un tale chiasso.
[…] Metto l’occhio alla grata. È buio, buio, c’è come […] un arrampicarsi rabbioso.
[…] Ho solo ordinato una cassetta piena di pazze. […] Domani farò il Buon Dio e le libererò.

4 ottobre 1962, Sylvia Plath

(traduzione di Anna Ravano)

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Pungiglioni – Silvia Plath

A mani nude, sollevo i favi.
[…] Ci sarà dentro davvero una regina?
[…] Sono in una colonna di donne alate non miracolose, sguattere del miele. Io non sono una sguattera,
[…] io ho un io da ritrovare, una regina. È morta, dorme?
[…] Eccola in volo, adesso, terribile come non mai, rossa ferita nel cielo, rossa cometa […]

6 ottobre 1962, Sylvia Plath

(traduzione di Anna Ravano)

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Lo sciame – Sylvia Plath

[…] Le api discutono […] L’uomo dalle mani grigie è in piedi sotto il favo del loro sogno […]
[…] Pum! Pum! Cadono smembrate, su un cespo d’edera. E così addio aurighi, staffette […]

7 ottobre 1962, Sylvia Plath

(traduzione di Anna Ravano)

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Svernare – Sylvia Plath

[…] ho il mio miele […] in cantina,
[…] in un buio senza finestra nel cuore della casa
[…] Questa è la stagione della resistenza per le api […] Arriva il freddo.
[…] Ora si raccolgono in una palla, nera […]
[…] Sopravviverà l’alveare, […] per entrare in un nuovo anno? […] Le api volano. Sentono il sapore della primavera.

9 ottobre 1962, Sylvia Plath

(traduzione di Anna Ravano)

API IN “THE BEE MEETING” // SYLVIA PLATH IN “LA SCOPERTA DEL DOPPIO E IL VIAGGIO DI PIERROT” – PROF. CIRO SORRENTINO

Le liriche dedicate alle api identificano l’alveare come ideale modello di perfetta organizzazione comunitaria. Per Sylvia Plath l’ape regina, in quanto unico esemplare in grado di procreare e assicurare la continuità della sua specie, possiede una natura prodigiosa che la lega al piano cosmico dell’Oltre. L’ape è considerata una creatura sacra, in virtù del fatto che, come in molti miti e fedi, essa è simbolo dell’eterno alternarsi di morte e ritorno alla vita, nell’armoniosa ed infinita purezza della Grande Madre. D’altra parte, la sua sparizione nei tre mesi invernali e il sicuro ritorno in primavera sono eventi che rievocano la passione di Cristo, morto e resuscitato dopo tre giorni.

Relazionata alla spiritualità della coscienza, l’ape assume in sé un’arcana ambivalenza sul significato della vita e della morte, misteriosa dualità che Sylvia Plath risolve nell’epifania dell’Oltre. La coesione dell’identità, come capacità di determinarsi nell’autosufficienza, deve espandersi in un ideale processo di auto-rigenerazione, nelle stesso sorprendente miracolo che scuote lo spazio misterioso dell’alveare. Nelle poesie della raccolta “Bee Meeting”, dedicata alle api, Sylvia Plath esalta l’impalpabile mistero dell’arnia, riconoscendo in essa lo spazio salvifico dove il mito di Eros e Thanatos si trasforma nel fluido e continuo processo di resurrezione che conduce all’ Altrove.

Ne il “Convegno delle api” Sylvia Plath mette subito a confronto due opposte realtà e altrettanti modi di comportarsi: da una parte la “gente del paese”, dall’altra la comunità delle api. I paesani, “tutti guantati e coperti”, sono materialisticamente interessati a moltiplicare la produzione di miele e, di fatto, “portano via le vergini”, affinché non affrontino un duello mortale con la regina. Ed è in questo gesto utilitaristico che Sylvia Plath scopre che gli uomini interferiscono con un ciclo naturale, e nauseata si sente come “La vecchia regina”, “esausta, esausta – colonia di bianco in un buio di coltelli”. Il candore dell’anima, la “colonia di bianco”, è minacciato, trafitto da un “buio di coltelli”, da un’alterazione del ciclo vitale che le procura un indicibile “freddo”.

Di fronte a tale sopruso la sua coscienza si ribella e, libera da ogni influenza del mondo esterno, si commuove pensando alla perfezione che una volta regnava nella vita delle api. È una presa d’atto che gli uomini curano le api solo per un egoistico tornaconto. Non è un caso che in “L’arrivo della cassetta delle api”, ascoltando l’ “arrampicarsi rabbioso” delle api che sembrano “pazze” afferma “Domani farò il Buon Dio e le libererò”. Il sentirsi parte del mondo delle api è evidente in “Pungiglioni” dove Sylvia Plath dichiara “io ho un io da ritrovare, una regina. È morta, dorme?”. Come a dire il suo vero io dove si trova? E vede se stessa “in volo, adesso, terribile come non mai, rossa ferita nel cielo, rossa cometa”.

Quanto poi alla denuncia della malvagità contro la natura esso emerge nei versi di “Lo sciame” in cui “L’uomo dalle mani grigie è in piedi sotto il favo del loro sogno”. Si tratta di un uomo che distrugge e uccide, tanto che le api “Cadono smembrate, su un cespo d’edera. E così addio aurighi, staffette” gli unici portavoci di una verità primigenia. Con “Svernare” arriva un inverno che costringe le api alla “stagione della resistenza”, dell’attesa di un meritato riposo, prima di immergersi ancora una volta nel “sapore della primavera”.

Dipartimento di Lettere e Filosofia, prof. Ciro Sorrentino

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