Taglio // Sylvia Plath in “La scoperta del doppio e il viaggio di Pierrot” – prof. Ciro Sorrentino

Taglio // Sylvia Plath in “La scoperta del doppio e il viaggio di Pierrot” – prof. Ciro Sorrentino

Che brivido –  
il pollice invece della cipolla.
La cima via di netto
eccetto che per un piccolo

sportello
di pelle, un cappelluccio
smorto.
Poi quel velluto rosso.

Piccolo pellegrino,
l’indiano ti ha scalpato.
Il tuo bargiglio di tacchino
è un tappeto

srotolato dal cuore
su cui muovo
tenendo stretta la mia bottiglia
di spumante rosa.

Una celebrazione, ecco cos’è.
Da una breccia di corsa
escono un milione di soldati
in giubba rossa.

Da che parte staranno?
Omuncolo mio,
mi sento male.
Ho preso una pillolina

per uccidere questa
sensazione di carta velina.
Sabotatore,
kamikaze –

La chiazza sul tuo cappuccio
di garza
babushka Ku Klux Klan
scurisce e perde lustro e quando

il cuore della tua biglia
in poltiglia
incontra la sua minuscola
macina di silenzio

come sobbalzi –
veterano trapanato,
ragazza sozza,
dito mozzo.

24.10.1962, Sylvia Plath

(traduzione di Giovanni Giudici)

Taglio // Sylvia Plath in “La scoperta del doppio e il viaggio di Pierrot” – prof. Ciro Sorrentino

La “predizione creativa” di Sylvia Plath si evolve come capacità di “mascherare”, nell’accadimento di un fatto reale, la sua filosofia dell’esistenza che può essere definita “misticismo razionale”. Prova di quanto asserito deriva dalla lettura della poesia Taglio dove il suo “lirismo critico” si libera oltre la descrizione di un Taglio effettivamente procuratosi con un coltello da cucina. Eppure subito il linguaggio si apre alla metafora nella scelta delle parole che richiamano immagini e pensieri della sua visione del mondo e della vita. Per maggiore chiarezza, riportiamo i termini che a nostro intendimento “stravolgono” l’apparente “mimesis” realistica di Taglio : “brivido”, “cima” (prima strofa); “cappellaccio smorto” (seconda strofa); “piccolo pellegrino” (terza strofa); “srotolato dal cuore” (quarta strofa); “una celebrazione” (quinta strofa); “da che parte staranno”, “omuncolo mio” (sesta strofa); “sensazione di carta velina” (settima strofa; “la chiarezza sul tuo cappuccio” (ottava strofa); “macina di silenzio” (nona strofa); “veterano trapanato” (decima strofa). L’elenco da noi stilato è la prova evidente di come il Taglio sia solo l’occasione fortuita per approfondire il discorso sulla coscienza dell’essere. Sylvia Plath, attraverso il Taglio, scopre una possibilità di dialogo con il suo “io”, e, nel contempo, si rapporta in modo critico ad una realtà che mostruosamente uccide (il riferimento trova conferma in quel “milione di soldati”, “da che parte staranno”, “kamikaze” , “Ku Klux Klan”).

Dopo aver individuato il Taglio come probabile “stargate” possiamo provare a “sentire” le emozioni e i pensieri di Sylvia Plath, il suo “brivido” che è sussulto e tremore nel vedere troncata la “cima”, cioè l’apice della sua scienza e coscienza. E la vediamo colloquiare con il suo “io”, così stordito come il “cappellaccio smorto” di un “piccolo pellegrino” che, dopo lungo camminare, vede il suo vero interlocutore nelle sembianze di Sylvia Plath. Attraverso il Taglio , lo spirito vergine e puro può andare “srotolato dal cuore”, libero ed eterno come il pensiero che si ritrova e rinnova in un logico transfert mistico. Il Taglio le consente di chiedersi da che parte volgeranno tutti i puntelli della mente (il “milione di soldati”), i ragionamenti così ordinati e disciplinati dalla logica umana. Così, ormai destata da un torpore storico e morale che annichilisce e uccide, Sylvia Plath non può che amare quel Taglio che le consente di parlare con “l’omuncolo mio”, con la sua coscienza dell’essere. Ed è un dialogo che le fornisce una strana “sensazione di carta velina”, una visione diversa e autentica della storia; una visione rapida che si stende come “la chiarezza sul tuo cappuccio”. Attraverso il Taglio Sylvia Plath può scorgere tutta la verità sul mondo dell’esperienza: il suo “io”, seppur preso nella “macina di silenzio”, si muove come un “veterano trapanato”, assume in sé il coraggio del milite pronto al sacrificio estremo. Quell’eroe è Sylvia Plath, la “ragazza sozza”, offesa, umiliata e stordita dalla pochezza della vita, una ragazza fremente ed estremamente pronta a rapportarsi a quel Taglio che le offre la possibilità di essere se stessa, nella preveggenza dell’ “Oltre”.

Leggendo Taglio , nella sottesa simbologia dei versi, ci si rende conto di quanto Sylvia Plath intenda superare i limiti dell’imperscrutabile realtà, per scorgere “iridescenze” ed “echi” d’infinito. Risalta subito una perfetta disposizione nella strutturazione delle strofe, la cui “corposità” è intercalata da risonanti imperativi e incisi che sottendono la messa in evidenza di un comune significato di rinascita. Si tratta di espressioni che caricano la lirica di un forte valore simbolico, scoprendo nel Taglio il bisogno di essere in un luogo “altro”, in uno spazio luminoso rispetto alla dilagante e silenziosa oscurità del presente. Ancora una volta, ad essere rappresentato è l’inevitabile scorrere del tempo, così indissolubilmente legato ad una duratura imperfezione, ad un’esperienza storica vissuta come continua “lacerazione” dell’ “io”. Eppure contro l’insolvenza della vita si levano i versi di Taglio, le parole osano e schivano le cesure e gli enigmi della realtà: le emozioni e i pensieri di Sylvia Plath diventano chiara denuncia di ogni forma di “agnosticismo metafisico”, perché la sua anima non si smarrisce nella logorante e tautologica illusione del tempo.

Taglio è una poesia cadenzata su toni realistici e metafisici, su elementi che convergono verso la denuncia di una realtà “oscura” che schianta e gioca a rimpiattino, suscitando percezioni d’amara angoscia. In tanto cosciente dolore, Sylvia Plath cerca di razionalizzare gli eventi che opprimono chi vuole divincolarsi dalla tetraggine del vuoto, per ritrovare una “regolarità” dell’esperienza. In lei, l’essenza dell’essere è un ente eterno, imperituro ed indissolubile che vuole sottrarsi alla deriva del tempo. Per questo motivo la sua anima è come spinta da un’archetipica, mitica ed arcana magia che niente e nessuno può sostituire o spegnere, una magia alchemica e sconosciuta al mondo, viva e onnipresente nel suo essere che “urla” le sue ragioni contro l’esperienza della storia che è soffio mortificante d’acre salsedine.

Il titolo stesso, Taglio, è già significativo di un atteggiamento di amaro disincanto, dovuto all’assenza di una prospettiva certa che dia consistenza ad una realtà la cui rovinosa penombra si appresta a vietare la possibilità di scoprire l’ “Altrove”. Sylvia Plath si confronta con un tempo ostile in cui riverberi di polverizzati istanti squarciano il cuore. Ma proprio questa dolorosa consapevolezza è la condizione necessaria, il Taglio appunto, perché si possa scorgere un mondo “altro” rispetto all’angoscia da “brivido”, al tremore che spacca emozioni e pensieri. È una visione che non ha nulla di consolatorio, e che chiarisce in modo esaustivo la tragica condizione dell’uomo contemporaneo perduto in un esile sogno, ormai fiaccato da aridi refoli di vento. Una visione che, oggettivamente tesa a rivelare ogni improbabile incanto, oltrepassa il buio dell’indistinto: Sylvia Plath, quantunque osservi la vita come un lento ed inesorabile franare in uno stato di irrisolvibile inquietudine, non cede il passo, piuttosto leva il suo grido di protesta contro la fuga inarrestabile del tempo.

Dipartimento di Lettere e Filosofia, prof. Ciro Sorrentino

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