Morte & C. // Sylvia Plath in “La scoperta del doppio e il viaggio di Pierrot” – prof. Ciro Sorrentino

Morte & C. // Sylvia Plath in “La scoperta del doppio e il viaggio di Pierrot” – prof. Ciro Sorrentino

Due, sì, sono in due.
Sembra perfettamente naturale ora –
Quello che mi guarda in su,
dagli occhi semichiusi e a palla,
come Blake,

quello che ostenta
i segni ereditari del suo marchio –
la cicatrice da ustione
di acqua bollente,
il nudo verderame del condor.

Io sono carne al sangue.
Ciak-ciak,
batte sghembo il suo becco:
ancora non mi ha.
Mi dice come fotografo male.

Mi dice di quanta dolcezza
appaiono i bebè nella loro ospitale ghiacciaia,
con al collo una semplice trina
e poi i drappeggi delle loro ioniche tuniche funebri
e infine i piccoli piedi.

Non sorride, non fuma.

L’altro sì, invece,
dai lunghi plaudenti capelli.
Bastardo
masturbante un brillìo,
vuole essere amato.

Sto immobile.
Il gelo fa un fiore,
la rugiada fa una stella,
la campanella,
la campanella dei morti.

Qualcuno se n’è andato.

14 novembre 1962, Sylvia Plath

(traduzione di Giovanni Giudici)

Morte & C. // Sylvia Plath in “La scoperta del doppio e il viaggio di Pierrot” – prof. Ciro Sorrentino

Morte & C. Partiamo dall’affermazione che apre la poesia Morte & C.: “Due, sì, sono in due”, tante le facce della morte impersonate da due personaggi emblematici e imperturbabili che suscitano insolite e riposte considerazioni sul senso dell’esistenza. Due personaggi irriducibili e simbolici che anticipano inesorabili messaggi di morte, disfacimento, esaurimento della vita; così, nonostante l’uno e l’altro esternino fatali e insidiosi pensieri, possiedono una loro segreta, intima e suggestiva coscienza della morte che coinvolge intensamente Sylvia Plath.

Prime di inoltrarci nell’analisi delle due figure, ci sembra fondamentale chiarire le ragioni per le quali Sylvia Plath afferma “Sembra perfettamente naturale ora”. Procediamo soffermandoci sull’avverbio di tempo “ora”, che vuole indicare dopo l’accadimento di qualcosa, di una morte comunque straordinaria che illumina e rende chiaro, a posteriori, le cause, gli effetti e le conseguenze di un tale evento. Sylvia Plath con l’uso di “ora” vuole comunicare quella sua sopravvenuta comprensione della morte ineludibile, la morte che è la sua costante di pensiero, la porta da varcare per specchiarsi nell’ignoto mistero dell’ “Oltre”.

Tornando ai due personaggi, il primo è “Quello che mai guarda in su, …che ostenta i segni ereditari del suo marchio – …il nudo verderame del condor”: è l’immagine di una gelida e indifferente morte che aspetta l’ultimo respiro della vittima, prima di avventarsi come il “condor” a dilaniarne le carni. Ma Sylvia Plath può dire con fierezza, “Ciack-ciack”, …ancora non mi ha”; e non può averla, perché lei è lucidamente consapevole che vita e morte sono legate da una stessa natura e non teme nessuna delle due realtà. Il primo interlocutore continua ad adularla, per convincerla a scegliere, a indirizzarsi o alla vita o alla morte. E così le fa pesare il fatto che non è in grado di distinguere: Sylvia Plath ripete quello che le viene detto “come fotografo male”, il che equivale a dire come non può avere una chiara percezione della morte. E quell’interlocutore continua, mostrandole la “dolcezza” dei “bebè” nelle “tuniche funebri”. Ma i neonati non sono forse indicatori di innocenza, di purezza, di integrità? E questi aspetti non sono proprio le forme in cui risorgere come Lady Lazarus? Sylvia Plath ne è cosciente, “fotografa che è una meraviglia”, e non può cedere alle lusinghe, agli inganni, lei che è ancora “carne al sangue”, lei che non ha ancora provato tutto il marciume e lo squallore della vita. E questo personaggio lei rifugge, perché “non sorride, non fuma”, non prova emozioni che possano inebriare e far immergere l’io nel mare della conoscenza.

L’altro sì, invece, dai lunghi plaudenti capelli” è personificazione della morte stessa che magnificamente si presenta, esibendo pomposamente l’ “adulazione masturbante di un brillìo”. Questo personaggio viene definito “Bastardo” perché si mostra ancora più esilarante, esibisce un’acconciatura “dai lunghi plaudenti capelli”, vuole mostrasi vivo, come se fosse energia vitale e pulsante, passione che vuole amore. Ma Sylvia Plath ne riconosce l’oscena indecenza dietro quella maschera di platino, ne riconosce l’odore di decadimento di ogni energia vitale, sa che lui rappresenta l’assenza, la fine del presente. Si tratta di un presente che lei sta ancora sperimentando, che vuole saggiare per apprezzarlo o rifiutarlo del tutto. Ecco spiegato perché può dire “Sto immobile”, volutamente determinata a non cadere negli inganni né del primo, né del secondo interlocutore. E così, nella sua ferma decisione, nel suo estraniarsi alle voluttuose offerte, “Il gelo fa un fiore, la rugiada fa una stella”, perché la vita è realmente finita per qualcuno e non c’è altro suono che “la campanella dei morti”.

Dipartimento di Lettere e Filosofia, prof. Ciro Sorrentino

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