Gulliver // Sylvia Plath in “La scoperta del doppio e il viaggio di Pierrot” – prof. Ciro Sorrentino

Gulliver // Sylvia Plath in “La scoperta del doppio e il viaggio di Pierrot” – prof. Ciro Sorrentino

Alte sopra il tuo corpo vanno le nuvole,
alte e gelidamente
e un po’ piatte, distrattamente

fluttuanti su un vetro ma invisibile.
Senza riflessi,
a differenza dei cigni;

a differenza di te,
senza addosso alcuno spago.
Tutte gelide e azzurre. A differenza di te –

di te, là sulla tua
schiena, con gli occhi al cielo.
Gli uomini ragno t’han preso,

avvolgendo e tirando i loro minuscoli ceppi
i loro tranelli –
di seta.

Quanto ti odiano.
Nella valle delle tue dita conversano, vermiciattoli.
Vorrebbero farti dormire nei loro stanzini,

fare reliquie dei diti dei tuoi piedi.
Scappa via!
Scappa via sette leghe, come quelle distanze

ricorrenti in Crivelli, inattingibili.
Di questo tuo occhio fa un’aquila
e un abisso dell’ombra di questo labbro.

06.11.1962, Sylvia Plath

(traduzione di Giovanni Giudici)

Gulliver // Sylvia Plath in “La scoperta del doppio e il viaggio di Pierrot” – prof. Ciro Sorrentino

Ancora una volta, come in “Lady Lazarus”, Sylvia Plath si immedesima in un personaggio famoso, Gulliver appunto e, nel crescendo dei versi, avvia un dialogo tra il suo io segreto e il suo io sociale. Il contesto spaziale si fonda su collocazioni alto – basso che definiscono i due luoghi figurativi in cui si sviluppa il processo di duplicazione Gulliver/Sylvia Plath.

Al di sotto dell’infinita mobilità degli elementi, “vanno le nuvole”, viene materializzandosi la finita grettezza, umana e psicologica, che impedisce all’essere di riconoscersi e rapportarsi agli altri. Due mondi separati, dunque, con al centro Gulliver, il personaggio chiave, il simbolo verso cui si leva l’esortazione del poeta a risorgere dal torpore, a liberare le sue energie – “scappa via sette leghe; di questo tuo occhio fa un aquila”.

Sylvia Plath si sente come Gulliver, avverte il peso di una vita asettica che incatena, e a questa realtà asfissiante che opprime fa da contrappunto una natura che replica semplicemente il suo ciclico corso. Difatti, “vanno le nuvole fluttuanti su un vetro ma invisibile”, si muovono secondo l’ordine consueto e regolare degli elementi. E le vediamo lontane, quasi fossero incanalate sulle venature di “un vetro ma invisibile”. Così oscillano le nuvole, “alte e gelidamente e un po’ piatte”, e vanno come distratte e distaccate da ogni sorta di vincolo.

Sono nuvole che aspettano l’evolversi di un processo naturale, che non si inorgogliscono, né si fregiano di onorificenze per rifugiarsi nelle forme artefatte della simulazione umana. Sono nuvole “senza riflessi”, senza maschere di vanità, né di compiacimento come potrebbe essere l’atteggiamento dei cigni. E a questo vanaglorioso e compiaciuto atteggiarsi dell’io sociale, a questa tronfia vanità Sylvia Plath lancia la sua invettiva, il suo ammonimento. Le nuvole sono “un po’ piatte”, non sentono non provano emozioni, né sono spinte dalla vana illusione di sentirsi superiori. E se vanno “alte e gelidamente”, appartengono per ordine naturale alle “distanze” del cielo, “distanze inattingibili”.

L’io sociale di Gulliver, è limitato, appesantito nei comportamenti dallo “spago” che lo rende un goffo burattino, un manichino in bilico, pronto a cadere e rimanere immobile, fermo “sulla schiena con gli occhi al cielo”. Gulliver è come pietrificato, schiantato, impedito dal rendersi parte di un’immensità che si espande sopra i suoi “occhi al cielo”. L’io sociale che individua Gulliver è finito nelle trame degli “uomini ragno”, di persone che tessono “tranelli di seta”, che spingono in ambienti formali, oscuri, ambigui. Sono creature perverse di un limbo che ammalia con le sue finte luci, con brevi lampi di effimero splendore, fugace splendore di un mondo terreno che nasconde la magnificenza del divino Oltre.

Si tratta di uomini senza fede, senza amore, senza ideali, il loro Dio è l’opulenza, e odiano quelli che pensano, coloro che cercano di scartare tra i rifiuti per scegliere i doni preziosi della vita. E vorrebbero fare “reliquie dei tuoi piedi” per impedire ogni capacità di spostamento e il saper orientarsi, dirigersi e raggiungere una verità. È da questi “uomini ragno” che disprezzano il candore,  da questi “vermiciattoli” che provano ad addormentare la mente “nei loro stanzini”, l’io segreto di Gulliver deve necessariamente liberarsi. E non c’è tempo da perdere, Gulliver deve precipitarsi con la velocità di “sette leghe” per attraversare gli spazi “inattingibili” e raggiungere l’assolutezza del divino.

La soluzione per Gulliver è unica, è necessario per lui guardare al di là delle apparenze, delle parvenze del mondo visibile: solamente guardando con gli occhi di “un’aquila”, Gulliver può riconoscere la vita, la luce del sole che schiarisce ogni orizzonte, al di là dell’ “ombra di quel labbro” che fa parlare l’io sociale. Solo in questo modo, svincolato dalle ombre dell’inconsistenza, Gulliver potrà fuggire quel remoto “abisso” che annerisce e confonde le memorie e i pensieri.​

Dipartimento di Lettere e Filosofia, prof. Ciro Sorrentino

Materiale protetto da Copyright (c) – Tutti i diritti riservati. Vietata la copia anche parziale.

https://plathsylvia.altervista.org/

https://www.letteratour.it/analisi/A02_plathSylvia_ariel.asp

https://plathsylviaariel.altervista.org/

https://sylviaplath.altervista.org/

https://eburnea.altervista.org/

https://sylviaplathariel.altervista.org/